venerdì 28 maggio 2010

Ognuno il suo ruolo

Dans ces extrémités de la solitude, enfin, personne ne pouvait espérer l'aide du voisin et chacun restait seul avec sa préoccupation. Si l'un d'entre nous, par hasard, essayait de se confier ou de dire quelque chose de son sentiment, la réponse qu'il recevait, quelle qu'elle fût, le blessait la plupart du temps. Il s'apercevait alors que son interlocuteur et lui ne parlaient pas de la même chose. Lui, en effet, s'exprimait du fond de longues journées de rumination et de souffrances et l'image qu'il voulait communiquer avait cuit longtemps au feu de l'attente et de la passion. L'autre, au contraire, imaginait une émotion conventionnelle, la douleur qu'on vend sur les marchés, une mélancolie de série. Bienveillante ou hostile, la réponse tombait toujours à faux, il fallait y renoncer. Ou du moins, pour ceux à qui le silence était insupportable, et puisque les autres ne pouvaient trouver le vrai langage du coeur, ils se résignaient à adopter la langue des marchés et à parler, eux aussi, sur le mode conventionnel, celui de la simple relation et du fait divers, de la chronique quotidienne en quelque sorte. Là encore, les douleurs les plus vraies prirent l'habitude de se traduire dans les formules banales de la conversation. C'est à ce prix seulement que les prisonniers de la peste pouvaient obtenir la compassion de leur concierge ou l'intérêt de leurs auditeurs.

Chiaramente non io, ma Albert Camus, La Peste

Tipologie di Comunicazione in queste extrémités de la solitude .. Gorizia...
ma come ci ricordava giustamente Lollo, Gorizia è tutto tranne solitudine.
Gorizia è stare in mezzo, nell'onda, proprio in quel punto dove l'acqua si avvolge e crea un mulinello, dove non ci si vede perchè c'è la schiuma, dove si perde il senso dell'orientamento, ma tanto non sei troppo distante dalla spiaggia... a metà tra l'andare a fondo e la spinta vitale per tornare a galla.

parole parole parole..gocce nel mare

ma d'altra parte nessuno ci costringe a tuffarci
però quando guardiamo da fuori capiamo che lì, proprio lì in mezzo, c'è un posticino che sta aspettando giusto noi... io qui, tu lì, standoci comodi...
questione di ruoli..è solo questione di trovare quello che è giusto per noi..
il giusto modo per esprimerci, per farci capire...

Silvia

lunedì 17 maggio 2010

Benedetta sia Gorizia maledetta

Queste considerazioni che tra un pò leggerete mi sono venute di botto ( = senza molto raziocinio) mentre percorrevo dalla stazione a casa mia l'unica via di Gorizia: corso Italia. Sono, come detto, considerazioni vaghe e poco pensate; quindi hanno bisogno di essere potenziate dai vostri commenti, forse più ragionati, forse più realistici. Basta cianciare. Parto.
Gorizia è profondamente democratica. Democraticissima.
Vivere a Gorizia è un'esperienza di democrazia continua, e, per quanto ne dicano, l'ambiente goriziano è ottimo per chi vuole fare politica.
Perchè questo.
Gorizia, lo si sa, è una città quasi morta. Sono uno studente universitario, la cui mente ha bisogno, per definizione stessa di studente universitario, di continui stimoli intellettuali. Fermiamoci per semplicità solo a quelli intellettuali. Di stimoli ne abbiamo nella nostra facoltà (chi più, chi meno). Ma fuori? Fuori, beh... Molto spesso fuori non ci sono: dobbiamo crearceli da soli. Ed ecco a voi la prima caratteristica positiva di questa città: gli stimoli sono nostri, creati da noi, quindi decisamente non banali, quindi molto sentiti; ecco quindi che siamo disposti fino in fondo a condividerli anche agli altri.
Che cosa offre Gorizia a coloro che sono desiderosi di condividere stimoli di questo tipo? Nulla. Nulla se non il bar. Il bar è un posto in cui sei obbligato, mediante dazio, a pagare per stare seduto su sedie già piazzate, e parlare a coloro che sono di fronte di...qualcosa. Non si fa altro al bar. Si parla di qualcosa. E siccome noi non siamo ragazzini delle medie, per ricollegarmi al discorso iniziale, al bar noi universitari siamo obbligati, perchè appunto paghiamo i 2£ per uno spritz, a sviluppare i nostri grandi piccoli stimoli intellettuali. Anzi per essere meno elitari generalizzo: siamo obbligati a parlare-ridere-scherzare. Ma tra eguali, ad un livello paritario.
Cosa succede nelle grandi-medie città? Quello che succede spesso il sabato sera a Gorizia davanti all'Enigma: moltitudine di persone = spaesamento. In queste occasioni, quando trovi gente di tutti i tipi, spesso spicca tra la massa o chi è fisicamente più alto degli altri o chi grida di più. In questo gioco vince chi è più forte. Il timido è segato fin dall'inizio. E' una selezione naturale. Vive chi lotta. Vive chi urla. Vince la vivacità stupida.
Cosa si può fare inoltre a Gorizia? Si resta a casa.
La sfiga sembra il nostro destino. Ma, se ci pensate, a casa (no forse solo in alcune case) si consuma la cena in compagnia (abile modo per non tagliarsi le vene). Tra i coinquilini l'addetto cuoco mette in tavola e con un "gong" sul coperchio della pentola segna l'inizio di qualcosa di magico che sta per succedere. Quel "gong" non è il suono dell'imperatore, ma il momento in cui tutti, allo stesso modo, allo stesso tempo, si mettono attorno allo stesso tavolo.
Incomincia la cena. Ebbene, in due anni di convivenza goriziana, io non ho mai visto i miei coinquilini essere gli stessi per due sere di fila. Quanti di noi sono cambiati in questi due anni, quanti hanno cambiato e adattato le loro idee, quanti più disposti ad ascoltare, quante idee nuove! Quel tavolo è il motivo per cui molti nel mondo lottano e muoiono. OOOOOOOOh che parolone! Non so, in effetti mi sto facendo prendere dalla poesia. Quel tavolo, però, mi ha fatto crescere molto. Con me, i miei coinquilini. Con noi le nostre doti di retorica. In democrazia molto spesso si vince perchè si è diversi, nell'uguglianza. Vince chi è più convincente, o chi è più bravo a parlare, o chi ha idee migliori. Ma tutti con gli stessi mezzi.
A tavola si impara molto più di retorica che nei corsi organizzati dai partiti. A cena si espone la propria tesi. La si mette al vaglio degli altri. La si argomenta in modo efficace. Si rispettano i ruoli di tutti. Non si fa un discorso ma si discute. Atteggiamenti violenti? Ci si indigna, e li si rifiutano. Si sta zitti? Si parla anche a chi sta zitto. O meglio: non si deve stare zitti. Tutti questi insegnamenti puri di democrazia.
Le domande filosofiche? No, non si possono fare davanti ad un pubblico di bevoni.
Il bere: ecco, a Gorizia si beve perchè bere è normale, non perchè vuol dire essere diversi.
Tutto questo mi è venuto in mente in un minuto. E un minuto, lo so, è poco, troppo poco per dire delle verità. In fondo, anche se tutto questo è vero, un buon politico dovrebbe essere attivo e non fermarsi a ciò che ha, ma arrivare a ciò che non c'è e che ci dovrebbe essere. Gorizia non offre nulla di più. Gorizia produce goriziani: gente cara, ma tutt'altro che attiva. Non induce le persone a parlare in pubblico, non crea motore di aggregazioni, non forma al di fuori dei suoi confini. Sembra che voglia stare per sempre vicino a questo confine, con la faccia rivolta formalmente verso est. Gorizia. Invece bisognerebbe spesso tornare indietro, voltarsi, verso quell'Italia che sta più al di dentro, più alle sue spalle. I problemi stanno soprattutto lì.
Bene, forse tutto quello che ho scritto sopra è facilmente smontabile con queste ultime considerazioni. No, forse no. Forse è solamente quel poco di buono che dobbiamo recepire da questa città tanto morta e vecchia, ma che qualcosa di bello pur sempre può dare.
Saluti

Lollo

venerdì 7 maggio 2010

In risposta alla negazione del libero arbitrio

Enzo ha proposto una discussione appassionante ed essendo interessato all'argomento provo a proseguire il dibattito. Anche se l'idea che mi sono fatto è moderatamente distante dalla sua, il mio intervento non vuole essere la negazione delle sue affermazioni, ma vuole stimolare invece una riflessione sullo stesso argomento in un'ottica diversa.


Ciò che ha scritto Enzo è ragionevole, io stesso mi sono posto la questione in termini pressoché identici. E ho cercato di trovare una scappatoia, un rimedio alla situazione che si prospettava. Vi propongo quello che ho scoperto.


Perché ci poniamo il problema del libero arbitrio? Sicuramente perché la libertà, la possibilità di scelta sono tra i nostri valori più vivi e profondi, tutti noi amiamo l'idea di poter controllare la nostra vita, il nostro futuro, di non essere burattini vittime degli avvenimenti.


Parlare di libertà dell'uomo come autodeterminazione assoluta (la “causa sui”) non ha a mio avviso molto senso, è pacifico che in una qualche misura noi tutti siamo determinati, dal luogo di nascita, dal nostro codice genetico, dalle scelte passate...Il punto sta nel capire in che misura noi “soffriamo” questa determinazione, se completamente (come sostiene Enzo) o solo parzialmente, avendo quindi spazio per la nostra libertà. Alcuni filosofi hanno infatti parlato di libertà finita, limitata, sotto condizione, altri hanno escluso la libertà di volere a favore della libertà di fare, cioè delimitata dal rango delle possibilità oggettive che sono sempre più o meno ristrette di numero.


Per quanto riguarda il determinismo la questione è complessa: la fisica contemporanea sembra negarlo (secondo il Principio di indeterminazione di Heisenberg) anche se nella nostra quotidianità tutto sembra avvenire secondo legami di causa-effetto; d'altronde la prospettiva opposta (l'indeterminismo) non è un argomento a favore del libero arbitrio: come diceva Hume, se tutto è determinato noi non siamo liberi, ma se tutto è indeterminato non lo siamo comunque, visto che le nostre azioni sarebbero vittima del caso e scollegate dunque dal nostro carattere, dalle nostre emozioni e dai nostri valori. Hume conclude sostenendo che il senso della libertà sfugge alla comprensione della ragione umana.


La soluzione più diffusa a questa situazione apparentemente senza vie di uscita è di tipo metafisico, e consiste nel considerare l'uomo come dotato di una mente, di uno spirito, di un intelletto che non appartiene al mondo della realtà ma appartiene invece a quello dell'idealità. In questo senso lo spirito è qualcosa di separato dal corpo, dal cervello, che sono composti invece di elementi chimico-fisici reali. In base alle varie concezioni filosofiche la mente e la realtà sono più o meno strettamente in contatto: si tratta però sostanzialmente del dualismo cartesiano mente-realtà, idea che, ammettiamolo, non convince molto.

Molto più convincenti sarebbero le soluzioni estreme: quella materialista (la mente non esiste, la nostra coscienza è data solamente da movimenti e interazioni di atomi che compongono le cellule cerebrali) e quella idealista (la realtà non esiste o è riducibile all'idealità, esiste solo il mondo metafisico dello spirito).

Sorprendentemente, però, il dualismo mente-realtà è ritornato in voga in ambito scientifico nel '900: Bohr, Heisenberg, Bohm, Schrodinger, hanno tutti assunto posizioni che sembrano conciliare il mondo del reale con quello dell'ideale.

Naturalmente non è possibile dimostrare l'esistenza di un'entità metafisica come l'intelletto, almeno non con i metodi scientifici tradizionali. Postulando l'esistenza della mente, non è difficile affermare che essa è libera: la mente potrebbe essere influenzata dal mondo esterno (dal codice genetico del corpo, dall'ambiente in cui si vive, da un danno fisico al cervello) ma avere comunque spazi per agire e scegliere “liberamente”. Insomma la discussione sul libero arbitrio deve per forza sfociare verso la filosofia della mente, dal momento che in ottica materialistica è molto difficile attribuire la libertà all'uomo, così come dare un senso alle cose e un fine alle cause.


Insomma l'idea che mi sono fatto è che il libero arbitrio sia un concetto limite la cui esistenza non si può negare o affermare con avventatezza, anche per il fatto che la questione si intreccia a tematiche scientifiche in continua evoluzione e ben lungi dall'aver raggiunto traguardi inconfutabili (basti pensare al fatto che attualmente ci sono dodici diverse interpretazioni della meccanica quantistica di cui tre si basano sul determinismo, sei sull'indeterminismo e due si dichiarano agnostiche a riguardo).


Volevo concludere facendo alcune considerazioni.

La prima richiama la celebre scommessa di Pascal ed è la seguente: credere nel libero arbitrio è più conveniente che non credervi. Infatti se il libero arbitrio esistesse, credere nella sua esistenza sarebbe sicuramente meglio che non credervi, perché saremmo più positivi, attivi e ottimisti. Se il libero arbitrio non esistesse, crederci o no non dipenderebbe da noi, perché sarebbe già determinata (o casuale) la nostra credenza o non credenza.

Se qualcuno ha dubbi sul fatto che il credere nel libero arbitrio (se esso esiste) possa migliorare la propria attitudine può dare un'occhiata a questo articolo http://psp.sagepub.com/cgi/content/abstract/35/2/260, ma le ricerche in questo campo sono abbastanza diffuse e mostrano risultati simili. Inoltre è notevole che la civiltà oggi più “avanzata” (passatemi la superficialità dell'affermazione) sia quella occidentale, che fa della libertà uno dei suoi valori cardinali (valore a cui sembra tenere molto anche il Dio cristiano).

L'altra considerazione, complementare alla prima, è quella che il non credere nel libero arbitrio rende disillusi e scoraggiati nei confronti della realtà. Percependo la rigida concatenazione di cause ed effetti nulla riesce più a stupire, a sbalordire, ogni nostra sensazione, ogni sentimento, ogni valore e ogni emozione sembra artefatto, innaturale, falso. Tutto viene sminuito, dai grandi traguardi raggiunti dall'umanità alla magnificenza della natura. Questa è la sensazione che ho provato quando mi è capitato di considerare il mondo in modo fortemente deterministico, quando ho badato più alle cause che ai fini, più al come che al perché (e noi, che siamo scienziati, siamo ben avvezzi a questo modo di ragionare).

Contro le declinazioni più esasperate di questo modo di esistere io propongo di dare più spazio alla creazione, al progetto, alla vitalità e alla meraviglia per le cose del mondo.


Federico