lunedì 21 novembre 2011

domenica 13 novembre 2011

sabato 5 novembre 2011

Es hermoso cuando los mudos hablan y cantan aunque sea para los sordos…



http://www.youtube.com/watch?v=SkijuuLaE98

Ocurrió el pasado 12 de marzo pero sigue siendo actual hoy y lo será mañana y me temo que también pasado mañana porque lo que pasó entonces sigue pasando ahora. Ocurrió en Roma. Se celebraba el 150 aniversario de la creación de Italia, la fiesta nacional. Para festejarlo tuvo lugar un concierto al que asistía el presidente Silvio Berlusconi y otros miembros del gobierno italiano. Dirigía la orquesta y coro, el temperamental Riccardo Muti que precisamente hoy llega a España para recibir el Premio Príncipe de Asturias, con Leonard Cohen entre otros.



Se representaba el Nabucco, la ópera de Verdi que evoca la esclavitud de los judíos en Babilonia y que alcanza su momento álgido en el famoso “Va pensiero”, entonado por uncoro de esclavos que cantan a su tierra perdida y a la libertad del pensamiento ya que sus cuerpos están presos. En Italia, este canto es un himno a la libertad desde que se estrenó en 1842, cuando los italianos aún estaban bajo el dominio de los Habsburgo. Y el pasado 12 de marzo, al llegar a ese momento, una ola de emoción insólita recorrió el teatro de Roma: “El silencio se llenó de verdadero fervor cuando el coro entonaba el lamento de los esclavos "Oh patria mía, tan bella y tan perdida”, explicaba Riccardo Muti después. Puede verse en las imágenes. Termina el coro y el público prorrumpe en un aplauso furioso tan largo que la ópera no puede seguir adelante. Los cantantes permanecen en el escenario, sus caras rotas, al borde de las lágrimas, por la intensidad del momento. Se oyen voces que piden un bis de este coro y entre ellas una voz que grita: “¡Larga vida a Italia!”

Y entonces, Muti, el mudo, como dice su apellido, rompió su silencio. Se dio la vuelta hacia el público y mirando también al presidente del gobierno, empezó a hablar en clara referencia a los recortes en su país y en especial a los recortes del gobierno en el campo de la cultura: "Sí, estoy de acuerdo: "Larga vida a Italia", pero yo ya no tengo 30 años, he vivido ya mi vida como italiano y he recorrido mucho mundo. Y hoy siento vergüenza de lo que sucede en mi país. Accedo, pues, a vuestra petición de un bis del "Va Pensiero" pero no lo hago tanto por patriotismo sino porque esta noche, cuando dirigía al coro que cantaba "Ay mi país, bello y perdido", pensé que si seguimos así vamos a matar la cultura sobre la cual se construyó la historia de Italia y entonces nuestra patria sí que estará verdaderamente "bella y perdida".



No sólo el público, también el coro que permanece sentado en su mayoría durante ese canto, se levantó para aplaudir a Muti que se permitió un juego de palabras con su apellido dirigido a los políticos: “Los mudos (muti) le hablan a los sordos (sordi)”. Y por segunda vez en su vida, el director de orquesta accedió a interrumpir el curso de la ópera y a hacer un bis del “Va pensiero” pero con una condición: "Hagamos una cosa. Como el coro lo ha cantado magníficamente y la orquesta le ha acompañado estupendamente, les propongo ahora que se unan al coro y que cantemos todos el "Vapensiero… Pero ojo, a tempo".



Entonces, mirando al público, no a la orquesta ni al coro, Muti dirigió el “Va Pensiero” mientras cientos de papeles, el programa de la noche, volaban desde los palcos superiores como si la gente tirase sobre la cabeza de los políticos sus programas inservibles, mientras cantaba:

¡Vuela, pensamiento, con alas doradas, pósate en las praderas y en las cimas donde exhala su suave fragancia el dulce aire de la tierra natal! ¡Oh, mi patria, tan bella y perdida! ¡Oh recuerdo tan caro y fatal! Arpa de oro de fatídicos vates, ¿por qué cuelgas muda del sauce? Revive en nuestros pechos el recuerdo, canta un aire de crudo lamento, que te inspire el Señor un aliento, que al padecer infunda virtud! ¡Que hable del tiempo que fue!

Al terminar, el teatro entero se puso en pie en un nuevo aplauso. Los cantantes también. Muchos de ellos y ellas lloraban ya sin poder contener la emoción, dándose consuelo en un abrazo o un beso. Hay momentos que te reconcilian con el mundo y con la vida y coros que son capaces de acallar bocazas. Es hermoso cuando los mudos hablan y cantan aunque sea para los sordos…

venerdì 4 novembre 2011

Raccontiamoci la crisi: una fotografia




Sembra un'assurdità, ma in Italia la situazione è grave. Anzi, dico meglio: per l'Italia la situazione è grave. Vero, ti rispondo su questa bellissima piattaforma che abbiamo creato perchè ho un bisogno estremo di guardarmi alle spalle, e di incontrare le persone con cui condividevo una tavola, una chitarra e il nostro vino (che considerando la stagione dovrebbe essere ancora quel "nettare degli dei" che più comunemente si chiama ribolla gialla).
Appunto...il vino, le risate, la nostra compagnia spensierata, anzi pensierata...se mi guardo indietro o se penso al presente, al mese passato a Vicenza con i miei, alla vita di sempre, difficilmente riesco ad intravedere la crisi. Anche nel momento in cui stavo per andare a Roma, il 15 ottobre, alla manifestazione degli Indignati, la mia famiglia mi ha pregato di restare a casa per stare insieme ancora qualche giorno prima della mia partenza. Quindi la famiglia è intervenuta. La famiglia, con la sua stretta protettiva, continua ad intervenire sulla mia vita difendendomi dalla crisi.
Cio' che mi spaventa di più è leggere la gravità della situazione nei giornali. Si parla di catastrofe, di rischio-Italia sicuro se non partono immediatamente le riforme. Si parla di fuga di investimenti, di malaffare, di Stato vicino al rischio. Eppure l'economia reale, l'apparato industriale e imprenditoriale ci permette di essere ancora tra i maggior paesi industrializzati del mondo. Eppure siamo prima del Regno Unito nella classifica dello sviluppo umano dell'ONU. Mi spaventa non vedere la difficoltà estrema annunciata da governi e media. O dai media dei governi. O dai governi dei media.
Ti rispondo, Vero, dicendoti che voglio assolutamente tornare in Italia e vedere cosa succede. E vorrei pure pensare al peggio, e provare a pensare a "cosa succederebbe se". Non è possibile parlare se non si vede e non si tocca con meno quello che sta succedendo. E quindi non è neppure possibile studiarlo. Non riesco, limite alto.
Quindi il mio appello è rivolto verso tutti: torniamo a raccontarci di noi e delle nostre vite.Raccontiamioci la nostra "crisi". Torniamo a farlo qui!!!

Raccontiamoci fatti, esperienze. Nei modi più disparati possibile.

Ho iniziato con questa fotografia.

Lollo

sabato 5 marzo 2011

E' ancora questo l'ideal tipo italiano?

Vi posto qui di seguito un testo, tratto dal Diario di Elsa Morante, che parla di Mussolini. Noterete di sicuro delle somiglianze notevoli con l'attuale capo di governo, ma il messaggio fondamentale che vi invito ad osservare è quello sul popolo complice. Buona lettura!

Roma 1° maggio 1945
Mussolini e la sua amante Clara Petacci sono stati fucilati insieme, dai partigiani del Nord Italia.
Non si hanno sulla loro morte e sulle circostanze antecedenti dei particolari di cui si possa essere sicuri. Così pure non si conoscono con precisione le colpe, violenze e delitti di cui Mussolini può essere ritenuto responsabile diretto o indiretto nell’alta Italia come capo della sua Repubblica di Sociale.
Per queste ragioni è difficile dare un giudizio imparziale su quest’ultimo evento con cui la vita del Duce ha fine.
Alcuni punti però sono sicuri e cioè: durante la sua carriera, Mussolini si macchiò più volte di delitti che, al cospetto di un popolo onesto e libero, gli avrebbe meritato, se non la morte, la vergogna, la condanna e la privazione di ogni autorità di governo (ma un popolo onesto e libero non avrebbe mai posto al governo un Mussolini). Fra tali delitti ricordiamo, per esempio: la soppressione della libertà, della giustizia e dei diritti costituzionali del popolo (1925), la uccisione di Matteotti (1924), l’aggressione all’Abissinia, riconosciuta dallo stesso Mussolini come consocia alla Società delle Nazioni, società cui l’Italia era legata da patti (1935),la privazione dei diritti civili degli Ebrei, cittadini italiani assolutamente pari a tutti gli altri fino a quel giorno (1938).
Tutti questi delitti di Mussolini furono o tollerati, o addirittura favoriti e applauditi. Ora, un popolo che tollera i delitti del suo capo, si fa complice di questi delitti. Se poi li favorisce e applaude, peggio che complice, si fa mandante di questi delitti.
Perché il popolo tollerò favorì e applaudì questi delitti? Una parte per viltà, una parte per insensibilità morale, una parte per astuzia, una parte per interesse o per machiavellismo. Vi fu pure una minoranza che si oppose; ma fu così esigua che non mette conto di parlarne. Finché Mussolini era vittorioso in pieno, il popolo guardava i componenti questa minoranza come nemici del popolo e della nazione, o nel miglior dei casi come dei fessi (parola nazionale assai pregiata dagli italiani).
Si rendeva conto la maggioranza del popolo italiano che questi atti erano delitti? Quasi sempre, se ne rese conto, ma il popolo italiano è cosìffatto da dare i suoi voti piuttosto al forte che al giusto; e se lo si fa scegliere fra il tornaconto e il dovere, anche conoscendo quale sarebbe il suo dovere, esso sceglie il suo tornaconto.
Mussolini,uomo mediocre, grossolano, fuori dalla cultura, di eloquenza alquanto volgare, ma di facile effetto, era ed è un perfetto esemplare e specchio del popolo italiano contemporaneo. Presso un popolo onesto e libero, Mussolini sarebbe stato tutto al più il leader di un partito con un modesto seguito e l’autore non troppo brillante di articoli verbosi sul giornale del suo partito. Sarebbe rimasto un personaggio provinciale, un po’ ridicolo a causa delle sue maniere e atteggiamenti, e offensivo per il buon gusto della gente educata a causa del suo stile enfatico, impudico e goffo. Ma forse, non essendo stupido, in un paese libero e onesto, si sarebbe meglio educato e istruito e moderato e avrebbe fatto migliore figura, alla fine.
In Italia, fu il Duce. Perché è difficile trovare un migliore e più completo esempio di Italiano.
Debole in fondo, ma ammiratore della forza, e deciso ad apparire forte contro la sua natura. Venale, corruttibile. Adulatore. Cattolico senza credere in Dio. Corruttore. Presuntuoso: Vanitoso. Bonario. Sensualità facile, e regolare. Buon padre di famiglia, ma con amanti. Scettico e sentimentale. Violento a parole, rifugge dalla ferocia e dalla violenza, alla quale preferisce il compromesso, la corruzione e il ricatto. Facile a commuoversi in superficie, ma non in profondità, se fa della beneficenza è per questo motivo, oltre che per vanità e per misurare il proprio potere. Si proclama popolano, per adulare la maggioranza, ma è snob e rispetta il denaro. Disprezza sufficientemente gli uomini, ma la loro ammirazione lo sollecita. Come la cocotte che si vende al vecchio e ne parla male con l’amante più valido, così Mussolini predica contro i borghesi; accarezzando impudicamente le masse. Come la cocotte crede di essere amata dal bel giovane, ma è soltanto sfruttata da lui che la abbandonerà quando non potrà più servirsene, così Mussolini con le masse. Lo abbaglia il prestigio di certe parole: Storia, Chiesa, Famiglia, Popolo, Patria, ecc., ma ignora la sostanza delle cose; pur ignorandole le disprezza o non cura, in fondo, per egoismo e grossolanità. Superficiale. Dà più valore alla mimica dei sentimenti , anche se falsa, che ai sentimenti stessi. Mimo abile, e tale da far effetto su un pubblico volgare. Gli si confà la letteratura amena (tipo ungherese), e la musica patetica (tipo Puccini). Della poesia non gli importa nulla, ma si commuove a quella mediocre (Ada Negri) e bramerebbe forte che un poeta lo adulasse. Al tempo delle aristocrazie sarebbe stato forse un Mecenate, per vanità; ma in tempi di masse, preferisce essere un demagogo.
Non capisce nulla di arte, ma, alla guisa di certa gente del popolo, e incolta, ne subisce un poco il mito, e cerca di corrompere gli artisti. Si serve anche di coloro che disprezza. Disprezzando (e talvolta temendo) gli onesti , i sinceri, gli intelligenti poiché costoro non gli servono a nulla, li deride, li mette al bando. Si circonda di disonesti, di bugiardi, di inetti, e quando essi lo portano alla rovina o lo tradiscono (com’è nella loro natura), si proclama tradito, e innocente, e nel dir ciò è in buona fede, almeno in parte; giacché, come ogni abile mimo, non ha un carattere ben definito, e s’immagina di essere il personaggio che vuole rappresentare.

Elsa Morante, Opere, vol. I, Mondadori (Meridiani), Milano 1988, L-LII

Ebbene non vi pare che la situazione sia sempre la stessa? Che il popolo adulatore e anelante continui a rappresentare la maggioranza del paese? Ricordate le lezioni di Neglie e il mancato colpo di spugna, che invece contraddistinse paesi come la Germania e l'Austria? Inizio a pensare sempre di più che non siamo fatti per la gradualità... sarebbe ora di farsi uno shampoo!

Meo

martedì 22 febbraio 2011

Soluzioni.

Io, Bartolomeo, sono nato e cresciuto in Italia, e mi sento italiano. Spero non mi giudichiate male per aver stravolto le parole di una delle più belle canzoni del signor G, ma volevo un'introduzione che facesse comprendere da subito quale sarà il tono di questo post. Scrivo finalmente nel blog perché sono stufo di farci dietrologia. Lo ammetto, io ne ho parlato spesso del blog, senza mai osare scrivervi, credo per una recondita paura della parola scritta, quella che rimane. Scrivo perché sono stufo di leggere nelle vostre parole il perenne lamento sulla situazione italiana. Lamento di solito seguito da un appello all'amore patrio, da un desiderio di crescita e di rinascita rispetto ai fattori dell'equazione che secondo Lucia G. non dovrebbero esserci. Siamo d'accordo, non dovrebbero esserci, ma ci sono perdio! E allora dico che è ora di smetterla di mettere sempre in luce gli stessi difetti ed iniziare davvero a parlare delle soluzioni, dei progetti! Sembriamo il PD dannazione! E comincio io per primo. Voi tutti conoscete il mio stile sanguigno, le mie sparate distruttive, del resto se proprio devo sentirmi un generale, mi sento un generale d'artiglieria, non vado per il sottile, come l'affilato fioretto della filosofia del linguaggio, con il quale Lucia Ruby (scusa non ho resistito!) cerca di risolvere il problema della definizione di “noi”. Ma lo apprezzo molto Lucia, il tuo è sicuramente un cercare di risolvere, non un lamentare un problema! Ebbene, comincio con un colpo di Berta: le proteste delle donne in piazza mi fanno ridere. E ora spiego il perché. Saltate pure sulle sedie, ma io trovo quelle proteste l'ennesimo insieme di banderuole sventolanti. Queste (e questi, è un problema comune a tutte le manifestazioni degli ultimi anni), in buona parte prive di una reale coscienza dei problemi e di idee di soluzione, si agitano per criticare una grottesca tara culturale che attanaglia una metà abbondante della popolazione italiana, personificata nel cattivo esempio del Presidente del Consiglio. E la critica è solo un lamento, uno slogan, un “basta alla donna-oggetto”, gridato purtroppo in primo luogo ad un uomo, e non alla donna stessa. Perché se è vero che è l'uomo ad indurre in tentazione, offrendo vie facili in cambio di favori, è pur sempre la donna a cadere in tentazione. Così come il sistema diffuso di clientelismo fa cadere in tentazione buona parte delle organizzazioni politiche e sociali in genere. E allora, se di tara culturale si tratta (e a mio parere è così) è su quella che bisogna lavorare, non sulla maggiore o minore indecenza di chi ci rappresenta al Parlamento. Perché bisogna ricordare che chi vota Berlusconi è la maggioranza degli italiani. Perché checché se ne dica, il nostro è ancora un sistema elettorale democratico in cui la maggioranza vince. E il problema primo sta proprio nella maggioranza. La maggioranza degli italiani è individualista e menefreghista. Credo che nessuno abbia da ridire su questo assunto. E la domanda da porsi è: come mai è la maggioranza ad essere menefreghista ed individualista? La risposta, a mio avviso, è banale quanto l'epigrafe di Monsieur Lapalisse e quanto le chiacchiere dalla parrucchiera: le persone con poca cultura storicamente fanno più figli (o meglio, quelle con molta cultura ne fanno pochi), e generalmente sono queste ad avere un atteggiamento maggiormente individualista e poco cosciente della società complessiva. Ovviamente la mia è una generalizzazione delle più becere, ma ritengo di non sbagliare dicendo che è abbastanza aderente alla realtà delle cose. Ebbene a questo punto orientiamoci alla ricerca di soluzioni. Queste sono due. Una prevede un definitivo disgusto prodotto dalla coscienza di essere una minoranza e la conseguente fuga alla ricerca del luogo dove essere maggioranza. La seconda, invece, prevede la coscienza di vivere in una società che si è orientata verso una brutta china e il desiderio di partecipare ad una sua riforma. Come si può riformare? E' una domanda estremamente difficile, ma io mi ci butto, se non altro per darvi lo stimolo di rispondermi con colpi di mitraglia nel caso in cui le mie parole vi paiano “una cagata pazzesca” per fare una citazione cara a molti di noi. La mia risposta è: facendo tanti figli e dandogli un'educazione valida quanto quella che, a quanto pare, noi abbiamo ricevuto. Una tara culturale si elimina mettendola in minoranza. E personalmente nutro poca fiducia nei mezzi di indottrinamento associazionistico, anche perché è un campo nel quale la Chiesa cattolica continua a dominare. Il vero mezzo di riforma è il nucleo sociale di base, la famiglia. Per quanto il contesto sociale nel suo complesso possa rappresentare un forte elemento di influenza, è sicuramente la famiglia il fondamentale elemento di formazione. Certo è che, perché una riforma possa dirsi compiuta, è il contesto sociale a dover risultare cambiato. Ma la possibilità di cambiamento passa dalla coscienza delle famiglie. Quando si arriverà ad avere la coscienza di un professore, non più sradicata dalle menti degli alunni per una deriva di ottusità collettiva data dall'inabilità all'ascoltare e dagli schiamazzi ricreativi, ma acquisita e rinforzata dall'educazione familiare, allora ci sarà il vero cambiamento culturale. Allora sì, che la si smetterà di desiderare un'altra maggioranza, che non è politica in senso stretto, ma sociale. Questa è la mia idea di soluzione amici miei, ma ce ne sono anche altre, più rapide e sanguinose. Maximilién docet, e parlo di Robespierre, non di mio fratello...

Meo

domenica 20 febbraio 2011

guardando all'Italia

Devo ammettere che mi tremano quasi le mani a scrivere su questo blog. L’ho letto a lungo sempre un po’ distaccata. L’ho annusato, diciamo.

E’ incredibile come due esperienze all’estero vissute in momenti diversi abbiano avuto in me conseguenze opposte. La prima mi ha fatto girare verso il mondo, la seconda, questa, mi ha fatto guardare all’Italia. Sarà anche colpa della Vero che non smette mai di stimolarmi su questo punto.
E mi destabilizza, un poco. Ero così pronta ad andare via da questo Paese senza guardarmi indietro.. e ora invece i miei piedi si fermano e sono costretta a dare un’ulteriore occhiata. E’ davvero una causa persa? Sarebbe davvero inutile il mio contributo? Ne vale la pena oppure no?
Penso che la nostra generazione sia quella dei dispersi. Siamo una generazione abituata agli addii, in ogni loro forma. Una generazione che ama nell’incertezza.
Forse mi sbaglio e sono influenzata da quello che è il nostro ambiente di studi, ma non è solo tra noi che trovo esempi.
In questo momento questo nostro Paese non ci garantisce nulla, nemmeno la possibilità di rimanerci. Sembra che per trovare una dignità si debba uscire, perché fuori ci sono più opportunità, un’educazione più varia (non necessariamente migliore), altre possibilità di crescita. Fuori il mondo ci ascolta, se sappiamo farci sentire, qui invece sembra che anche gridando nessuno giri la testa.
E allora mi sono fatta prendere da quel fatalismo che è probabilmente uno dei sentimenti più forti che accomuna molti italiani.
Mi arrabbio e m’indigno e mi esalto e piango e rido per le politiche italiane ma sembra quasi che sia una cosa che mi riguarderà ancora per poco.
Ho deciso a priori di non metterci troppo il naso perché tanto non c’è nulla da fare.
… E se non fosse esattamente così? Se invece fosse possibile un margine di cambiamento e miglioramento?
Ma ancora, a che prezzo? Vale la pena sacrificarsi per questo Paese? E intendo sacrificarsi nel senso di lavorarci, metterci anima e corpo per cambiare le cose, impegnarsi in prima persona. E se non cambiasse nulla? Se anche con l’attuale opposizione al potere il sistema continuasse a funzionare sempre allo stesso modo, plagiato dagli stessi vizi?
Come ha detto Vero guardo alle politiche di questo posto, l’Austria, e mi rendo conto che qui il margine è visibile. E’ un ambiente malleabile, in cui si ragiona, le vie di azione sono chiare, ci si ascolta. E poi guardo all’Italia. E vedo (per quanto io riesca nella mia “ingenuità politica”) che ci sono troppe forze in atto, che il lavoro di alcune persone viene sommerso e sbilanciato in modo sproporzionato da molti altri fattori che non dovrebbero essere all’interno dell’equazione.
L’Italia mi fa paura. Mi fa paura la sua politica. Sembra un buco nero che plasma le persone a sua immagine e somiglianza. A un certo punto bisogna scegliere se si vuole rimanere incorruttibili o piegarsi alle regole del gioco. Solo che è principalmente attraverso la seconda che si può arrivare a raggiungere livelli dai quali è possibile produrre un cambiamento tangibile.
E quindi in mezzo a questo flusso di pensieri e contraddizioni, queste ultime di più recente formazione, non so se distogliere lo sguardo o continuare a fissare, e magari fare qualche passo indietro e affondarci le mani (come quando s’infilano le dita in un sacco di fagioli).
E per voi? In questo misto di amore e odio cos’è che vi fa sperare? Cos’è che vi fa credere che le cose possano cambiare, che si possa combattere e vincere, perché è l’idea di una vittoria possibile che ci fa andare avanti.
Quali sono le vostre ragioni per continuare a guardare, sperare.. e magari anche restare?

Lucia G.