domenica 18 aprile 2010

Una critica al liberalismo fossatiano

Salve.

Leggendo il libro di Fossati non ho potuto fare a meno di formulare alcune considerazioni. Ve le presento.

Mi sembra che uno dei punti focali del testo sia il contrasto tra l'etica della reciprocità liberale e la political correctness della corrente costruttivista. Fossati critica la seconda impostazione proprio perchè il politically correct manca dell'idea della reciprocità: gli stranieri non sono tenuti a rispettare la nostra cultura (perché deboli) ma noi siamo obbligati a rispettare la loro, non solo, ma non possiamo fare nulla quando i nostri connazionali sono perseguitati nei paesi esteri (vedi in particolare pag. 70, ma è una costante in tutte le prime centocinquanta pagine del libro).

Cerco di analizzare la questione: il liberalismo è una dottrina politica individualista, fin qui non ci piove. Le battaglie che sono state portate avanti dal liberalismo sono tutte a favore di diritti e libertà personali, dalla libertà di espressione a quella di commercio. I liberali disprezzano lo stato perché lo vedono come un entità disumana, spersonalizzante ma soprattutto incredibilmente potente: lo stato può soverchiare l'individuo e le sue libertà con i mezzi e la forza di milioni di uomini. Il liberalismo in linea generale se deve scegliere se stare dalla parte dello stato che deve costruire l'autostrada e il cittadino che rischia l'espropriazione della casa sceglie quest'ultimo.

Chi invece ha una concezione “forte” dello stato ritiene che per perseguire il bene pubblico la singolarità degli individui deve essere talvolta sacrificata per un fine superiore, e quindi qualcuno perderà la casa, qualcuno abiterà vicino a una centrale nucleare o a una discarica. Il liberalismo ha il grandissimo merito di aver sconfitto il potere dell'aristocrazia: i liberali volevano l'eguaglianza giuridica dei cittadini, e in particolare l'eliminazione dei privilegi nobiliari. Il principio di reciprocità qui si presenta così: io pago x quantità di tasse quindi anche tu paghi x quantità di tasse.

La critica più importante a questa dottrina la conosciamo tutti ed è la teoria marxiana, che in sostanza dice che le differenze di possesso economico (inevitabili nel sistema economico proprio del liberalismo che è il liberismo) rendono inutile l'eguaglianza giuridica e politica e non permettono un vero sviluppo dell'individuo.

I liberali ritenevano in sostanza che tutti gli uomini dovessero essere eguali dal punto di vista giuridico e politico, ma che la loro ricchezza “iniziale” (per nascita) o la ricchezza ottenuta nello svolgimento delle loro attività fossero svincolate e indipendenti dalla ricchezza di altri individui.

I social-democratici (i costruttivisti) cercano invece di colmare le varie differenze tra individui, siano esse di tipo economico (welfare state), fisico (rispetto e “correttezza politica” verso i disabili, gli anziani e i bambini), “intellettuale” (istruzione pubblica e obbligatoria), culturale (rispetto e correttezza politica verso le minoranze).

Insomma questi moderati di sinistra hanno paura del dominio, del potere di una componente della popolazione nei confronti di un'altra, ad esempio dei ricchi sui poveri, degli aitanti sui deboli, degli istruiti sugli ignoranti, degli adulti sui bambini e così via. E quindi tutelano, creano privilegi per i deboli, con norme giuridiche, regole di costume o convenzioni linguistiche, come chi chiama il netturbino “operatore ecologico” e viene tacciato di bizantinismo, falsità, di dire le cose in burocratese e non veramente come stanno.

Ciò nondimeno è questa l'impostazione generale dominante (almeno negli stati europei) ed è accolta con le dovute misure anche da liberali e conservatori (di certo le leggi a tutela dei minori non sono un'esclusiva della sinistra), e per questa ragione mi stupisce l'intransigenza di Fossati.

Per capire quanto questa concezione sia preminente basta dare un'occhiata alla Costituzione: il principio solidarista (art 2), il principio di uguaglianza sostanziale (e non formale), la presenza di imposte progressive (se chi ha 10 paga 1, chi ha 20 non paga 2 ma 3 o 4), il rispetto delle minoranze linguistiche e religiose sono tutti derivati di tale dottrina il cui scopo sembra essere quello di non volere che un gruppo, una componente della società prevalga sulle altre grazie a una qualche superiorità.


Quindi chi continua a rifarsi a questo famoso principio di reciprocità (che è chiamato anche “regola d'oro” per la sua internazionalità) prima di tutto non comprende gli sviluppi etico-politici degli ultimi due secoli e in secondo luogo non considera le profonde diversità presenti tra gli uomini. Quando al mondo saremo tutti eguali nel corpo e nello spirito, per capacità economica e di fronte alla legge (cioè mai) il principio di reciprocità sarà veramente la moralità assoluta. Fino ad allora è nostro compito a mio avviso cercare di colmare le enormi differenze, e in particolare le più nocive, al fine di offrire ad ogni individuo la possibilità e l'opportunità di vivere dignitosamente e in modo paritario nei confronti degli altri individui.

Con questo non voglio giustificare scelte discutibili come la creazione e l'imposizione di termini barocchi o la mancanza totale di reciprocità nei confronti dei cittadini stranieri, sostengo però che è giusto avvicinarsi all'esatta misura che ipoteticamente colmerebbe ogni differenza.

Il mio intervento non è una difesa a spada tratta del politically correct (argomento sul quale sono disinformato) ma una critica all'uso indiscriminato e non problematico del principio di reciprocità. Preferirei di gran lunga che si attaccasse la correttezza politica con motivazioni più pragmatiche e realiste, ad esempio mettendo in luce l'irrealizzabilità della dottrina solidarista per il fatto che in ogni società, anche nella più plurale delle democrazie, vi è sempre e comunque una componente dominante che imposta i valori e detta le norme e che senza questa condizione oltre alla libertà di culto e al diritto di assistenza dei disabili bisognerebbe garantire anche il diritto di non rispettare la legge.




Aggiungo una piccola postilla: il solidarismo e la “correttezza politica” di cui si parla rispecchiano sostanzialmente la volontà di dare a tutti gli individui eque opportunità, di dare a un povero le stesse opportunità di un Fossati, di dare a un ignorante le stesse opportunità di un Fossati, di dare a un tetraplegico le stesse opportunità di un Fossati.
Il Fossati invece, vuole la reciprocità, vuole tutti uguali e a tutti uguali diritti, ma questi diritti, queste “eguali libertà” sono quelle che ha conquistato la classe liberale e borghese, composta da uomini ricchi, colti, adulti e (generalmente) senza difetti fisici o malformazioni. Quindi tra questi diritti non ci sarebbe il diritto di un tetraplegico di poter usufruire della scala semovente, non ci sarebbe il diritto di un cieco che fa il segretario di avere strumenti ausiliari, un aiutante che lo accompagna sulle scale o dei privilegi di qualche tipo, dovrebbe essere trattato in modo “reciproco”, come tutti gli altri.
Mi rendo conto che gli esempi di diversità fisica sono i più emblematici e rischiano di banalizzare la questione in quanto “strappa lacrime”, ma il concetto per quel che mi riguarda è lo stesso per differenze di tipo economico, culturale e storico (non dovrebbe stupire che la political correctness americana cerca di “privilegiare” gli afro-americani dopo 3 secoli di schiavitù e 150 di inferiorità giuridicamente riconosciuta).
La conclusione che arrivo a trarre è che il solidarismo e la correttezza politica sono fenomeni etico-politici complessi (e, per quel che mi riguarda, di grande valore) che non possono essere ridotti banalmente alle sofisticherie linguistiche di qualche bigotto.

Cosa ne pensate?

Federico

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