Oggi sono così esasperata che prendo di petto l'innominabile, e lo so che tutti gli esuli ci pensano di tanto in tanto anche se non lo dicono.
La chimera. L'Italia.
Piccola premessa per spiegarvi lo stato d'animo con cui due mesi fa mi accingevo a lasciare la patria.
Pensavo: oh là. Finalmente.
Basta coi quotidiani farneticamenti politici, basta discussioni accompagnate da “rossa routine” con parenti e amici sul paese che va a picco, basta metafore del tipo che vivere in Italia è come stare sul Titanic mentre i violinisti suonano e non ti accorgi che vai a fondo, basta messaggi domenicali a Lollo del tipo “leggiti l'editoriale di Diamanti”... Per Dio, basta con questa smania tipica italiana di scannarsi su tutto che poi non cambia niente, basta!
Ecco, basta anche ascoltare Gaber, che tanto alla fine di “Qualcuno era comunista” si piange sempre.
Basta fatalismo, basta manicheismo, basta attivismo, basta con tutti gli -ismi del meraviglioso e dannato stivale: prendiamo fiato, finalmente.
Usciamo dal microcosmo e vediamo un po' se riusciamo a diventare “europei”: ah, grandioso, Vienna capitale della Mitteleuropa! Oh capitale, investimi con tonnellate di Impero Austroungarico, Opera, Mozart, decorazioni natalizie stucchevoli, razionalità nordica, socialdemocrazia, trasparenza, Schiele, Kokotschka, vin brulè, wurstel e chi più ne ha più ne metta. Ti accolgo a braccia aperte. Non ne voglio più sapere di te, patria approssimativa che più ti amo e più ti fai odiare. Inizio la vita da Erasmus, sarò uno zero tra gli zeri, tu non c'entri niente, ti metto in stand-by per un po', guarda, smetto pure di parlare italiano. Stop.
Ecco, solo una piccola concessione ti faccio: mi porto via il tricolore, sai, in fondo non voglio dimenticarti del tutto, spero solo che non mi prendano per fascista quando me lo vedono in camera. E magari non cambio la homepage e tengo quella del Corriere. Ma basta, tutto qua. Lasciami vivere, per pietà.
Bene.
Oggi posso dirvi che mi sento molto più in Italia di due mesi fa. Perché la peso con nuovi parametri e la osservo da fuori, tutto il tempo.
Con cadenza settimanale qualcuno mi domanda ghignante: “did you vote for Berlusconi bunga-bunga?” e quel che mi assale è una specie di impotenza rabbiosa incontrollabile e lo so che non porta a niente, perché mi paralizza e mi impedisce di rispondere razionalmente. Tento allora di spiegare, e le prime conclusioni che mi vengono in mente sono sempre impersonali, “così stanno le cose”, “ce ne vuole prima che cambi”, quasi con gli occhi al cielo, e mi accorgo di essere risucchiata io stessa nel fatalismo italiano in stile Sciascia, che poi è lo stile di quasi tutti noi, e che si rispecchia nel sorrisetto di chi ho di fronte.
Allora mi impegno, spiego con calma e ci metto i nomi, i legami causa-effetto. Ma dall'altra parte c'è sempre un'incomprensione che sconfina nello scherno.
Non li biasimo. Ma ieri ne ho avuto un esempio lampante ed è stato davvero difficile. Sono andata ad una conferenza dal titolo “Democracy and the Media” a cui erano presenti fior fior di sociologi americani oltre ai direttori di New York Times, Die Welt, e... La Repubblica.
Il dibattito inizia con un aplomb pazzesco, volano parolone tipo “technology revolution”, “public accountability”, “structural and behavioural regulation”, proprio un salottino accademico e gustoso. Ma c'è un outsider. È lui: Ezio Mauro.
Con un inglese un po' stentato, ma con quell'enfasi italica che stride col dibattere americano tipo Letterman's show, l'Ezio nazionale espone il suo punto di vista a partire dalla nostra anomalia. Parla di intolleranza del potere verso l'informazione, col primo che possiede la seconda, populismo moderno, politici che diventano idoli, opinione pubblica che è audience, la solita storia.
Quel che mi sconcerta non è tanto il suo italianissimo accento, ma la risposta della platea e degli altri invitati alla conferenza.
L'assemblea dei professoroni considera il caso italiano una “patologia da manuale” o una “lezione al contrario”.
Mentre il pubblico ride.
Ride degli scandali sessuali, di questo Primo Ministro che dice ai cittadini di informarsi solo guardando la tv, della posta italiana che è così lenta che tutti quanti si comprano il giornale in edicola, del conflitto d'interessi mai risolto.
Ezio Mauro cerca di proseguire nonostante l'ilarità generale e non ride, ma suda. Io anche. La conferenza si sta svolgendo in uno dei più antichi teatri di Vienna, il bellissimo Burgstheater, il che rende la situazione ancora più grottesca. Una commedia, una buffonata.
E mi dispiace di cuore dirvelo, ma su quel palco non c'era solo Ezio Mauro o il solito S.B., ma c'eravamo tutti noi. Derisi, considerati un'anomalia su cui non serve neanche spendere due parole, accademiche o politiche: basta farci una risata sopra. Chissenefrega dell'Italia, pensavano, ci andremo quando vogliamo un po' di arte e di pizza, magari.
Scusate il catastrofismo, lo so, vi pongo una questione che è forse la più difficile di tutte. Ma voglio le vostre idee, perché qui non è possibile sfogare questi sentimenti con nessuno, di fronte a me c'è solo un muro nordico, efficiente e trasparente, cavolo, vorrei una cena di politica, lacrime e risate.
Scriviamo un tema collettivo.
Dulcis in fundo, tornando indietro dalla conferenza ho acceso l'Ipod, e dopo due mesi Gaber è sbarcato a Vienna. Insieme a tutti quelli che “pensavano di poter essere vivi e felici solo se lo erano anche gli altri”.
Che fare quando torneremo?
Dopo due mesi sto capendo che la vita è grande... Ma il tricolore che ho in camera è ciò da cui tutto comincia e a cui tutto finisce.
A presto.
Veronica
lunedì 22 novembre 2010
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
La vita è grande...
RispondiEliminaIo offro un quadro piccolo, la mia condizione/posizione (itinerante) non mi permette considerazioni di ampio respiro..dico solo che sto guardando la cugina d'oltralpe, la Francia, da "dedan"...almeno sanno ridere di se stessi...
Anche i francese hanno il tricolore, la prima volta che hanno detto "le tricolore" gli stavo per rispondere: Ma no guarda..guarda che è mio!E' italiano!
Poi mi sono tornati in mente gli Stati Uniti, quando mi sono sentita italiana per la prima volta, e poi Napoli, quando ho capito che l'Italia è tutta, da nord a sud..che è il mio Paese, che sarò pure un gabbiano,ma finchè sento prurito, finchè mi incazzo, finche ho ventanni non sono ipotetico.
La vita è grande.
Vorrei riuscire a risponderti il 17 marzo 2011. Ora ho troppe cose per la testa, pensieri che non possono riguardare direttamente l'Italia. Credo che quando ci rivedremo a Roma, in quel momento potrò trovare la parola per spiegarti che cosa penso dell'Italia.
RispondiEliminaOra prometto di cercare gli accordi dei Mercanti.
Mi piacciono gli appuntamenti. A presto!
Lollo