domenica 20 febbraio 2011

guardando all'Italia

Devo ammettere che mi tremano quasi le mani a scrivere su questo blog. L’ho letto a lungo sempre un po’ distaccata. L’ho annusato, diciamo.

E’ incredibile come due esperienze all’estero vissute in momenti diversi abbiano avuto in me conseguenze opposte. La prima mi ha fatto girare verso il mondo, la seconda, questa, mi ha fatto guardare all’Italia. Sarà anche colpa della Vero che non smette mai di stimolarmi su questo punto.
E mi destabilizza, un poco. Ero così pronta ad andare via da questo Paese senza guardarmi indietro.. e ora invece i miei piedi si fermano e sono costretta a dare un’ulteriore occhiata. E’ davvero una causa persa? Sarebbe davvero inutile il mio contributo? Ne vale la pena oppure no?
Penso che la nostra generazione sia quella dei dispersi. Siamo una generazione abituata agli addii, in ogni loro forma. Una generazione che ama nell’incertezza.
Forse mi sbaglio e sono influenzata da quello che è il nostro ambiente di studi, ma non è solo tra noi che trovo esempi.
In questo momento questo nostro Paese non ci garantisce nulla, nemmeno la possibilità di rimanerci. Sembra che per trovare una dignità si debba uscire, perché fuori ci sono più opportunità, un’educazione più varia (non necessariamente migliore), altre possibilità di crescita. Fuori il mondo ci ascolta, se sappiamo farci sentire, qui invece sembra che anche gridando nessuno giri la testa.
E allora mi sono fatta prendere da quel fatalismo che è probabilmente uno dei sentimenti più forti che accomuna molti italiani.
Mi arrabbio e m’indigno e mi esalto e piango e rido per le politiche italiane ma sembra quasi che sia una cosa che mi riguarderà ancora per poco.
Ho deciso a priori di non metterci troppo il naso perché tanto non c’è nulla da fare.
… E se non fosse esattamente così? Se invece fosse possibile un margine di cambiamento e miglioramento?
Ma ancora, a che prezzo? Vale la pena sacrificarsi per questo Paese? E intendo sacrificarsi nel senso di lavorarci, metterci anima e corpo per cambiare le cose, impegnarsi in prima persona. E se non cambiasse nulla? Se anche con l’attuale opposizione al potere il sistema continuasse a funzionare sempre allo stesso modo, plagiato dagli stessi vizi?
Come ha detto Vero guardo alle politiche di questo posto, l’Austria, e mi rendo conto che qui il margine è visibile. E’ un ambiente malleabile, in cui si ragiona, le vie di azione sono chiare, ci si ascolta. E poi guardo all’Italia. E vedo (per quanto io riesca nella mia “ingenuità politica”) che ci sono troppe forze in atto, che il lavoro di alcune persone viene sommerso e sbilanciato in modo sproporzionato da molti altri fattori che non dovrebbero essere all’interno dell’equazione.
L’Italia mi fa paura. Mi fa paura la sua politica. Sembra un buco nero che plasma le persone a sua immagine e somiglianza. A un certo punto bisogna scegliere se si vuole rimanere incorruttibili o piegarsi alle regole del gioco. Solo che è principalmente attraverso la seconda che si può arrivare a raggiungere livelli dai quali è possibile produrre un cambiamento tangibile.
E quindi in mezzo a questo flusso di pensieri e contraddizioni, queste ultime di più recente formazione, non so se distogliere lo sguardo o continuare a fissare, e magari fare qualche passo indietro e affondarci le mani (come quando s’infilano le dita in un sacco di fagioli).
E per voi? In questo misto di amore e odio cos’è che vi fa sperare? Cos’è che vi fa credere che le cose possano cambiare, che si possa combattere e vincere, perché è l’idea di una vittoria possibile che ci fa andare avanti.
Quali sono le vostre ragioni per continuare a guardare, sperare.. e magari anche restare?

Lucia G.

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