martedì 22 febbraio 2011

Soluzioni.

Io, Bartolomeo, sono nato e cresciuto in Italia, e mi sento italiano. Spero non mi giudichiate male per aver stravolto le parole di una delle più belle canzoni del signor G, ma volevo un'introduzione che facesse comprendere da subito quale sarà il tono di questo post. Scrivo finalmente nel blog perché sono stufo di farci dietrologia. Lo ammetto, io ne ho parlato spesso del blog, senza mai osare scrivervi, credo per una recondita paura della parola scritta, quella che rimane. Scrivo perché sono stufo di leggere nelle vostre parole il perenne lamento sulla situazione italiana. Lamento di solito seguito da un appello all'amore patrio, da un desiderio di crescita e di rinascita rispetto ai fattori dell'equazione che secondo Lucia G. non dovrebbero esserci. Siamo d'accordo, non dovrebbero esserci, ma ci sono perdio! E allora dico che è ora di smetterla di mettere sempre in luce gli stessi difetti ed iniziare davvero a parlare delle soluzioni, dei progetti! Sembriamo il PD dannazione! E comincio io per primo. Voi tutti conoscete il mio stile sanguigno, le mie sparate distruttive, del resto se proprio devo sentirmi un generale, mi sento un generale d'artiglieria, non vado per il sottile, come l'affilato fioretto della filosofia del linguaggio, con il quale Lucia Ruby (scusa non ho resistito!) cerca di risolvere il problema della definizione di “noi”. Ma lo apprezzo molto Lucia, il tuo è sicuramente un cercare di risolvere, non un lamentare un problema! Ebbene, comincio con un colpo di Berta: le proteste delle donne in piazza mi fanno ridere. E ora spiego il perché. Saltate pure sulle sedie, ma io trovo quelle proteste l'ennesimo insieme di banderuole sventolanti. Queste (e questi, è un problema comune a tutte le manifestazioni degli ultimi anni), in buona parte prive di una reale coscienza dei problemi e di idee di soluzione, si agitano per criticare una grottesca tara culturale che attanaglia una metà abbondante della popolazione italiana, personificata nel cattivo esempio del Presidente del Consiglio. E la critica è solo un lamento, uno slogan, un “basta alla donna-oggetto”, gridato purtroppo in primo luogo ad un uomo, e non alla donna stessa. Perché se è vero che è l'uomo ad indurre in tentazione, offrendo vie facili in cambio di favori, è pur sempre la donna a cadere in tentazione. Così come il sistema diffuso di clientelismo fa cadere in tentazione buona parte delle organizzazioni politiche e sociali in genere. E allora, se di tara culturale si tratta (e a mio parere è così) è su quella che bisogna lavorare, non sulla maggiore o minore indecenza di chi ci rappresenta al Parlamento. Perché bisogna ricordare che chi vota Berlusconi è la maggioranza degli italiani. Perché checché se ne dica, il nostro è ancora un sistema elettorale democratico in cui la maggioranza vince. E il problema primo sta proprio nella maggioranza. La maggioranza degli italiani è individualista e menefreghista. Credo che nessuno abbia da ridire su questo assunto. E la domanda da porsi è: come mai è la maggioranza ad essere menefreghista ed individualista? La risposta, a mio avviso, è banale quanto l'epigrafe di Monsieur Lapalisse e quanto le chiacchiere dalla parrucchiera: le persone con poca cultura storicamente fanno più figli (o meglio, quelle con molta cultura ne fanno pochi), e generalmente sono queste ad avere un atteggiamento maggiormente individualista e poco cosciente della società complessiva. Ovviamente la mia è una generalizzazione delle più becere, ma ritengo di non sbagliare dicendo che è abbastanza aderente alla realtà delle cose. Ebbene a questo punto orientiamoci alla ricerca di soluzioni. Queste sono due. Una prevede un definitivo disgusto prodotto dalla coscienza di essere una minoranza e la conseguente fuga alla ricerca del luogo dove essere maggioranza. La seconda, invece, prevede la coscienza di vivere in una società che si è orientata verso una brutta china e il desiderio di partecipare ad una sua riforma. Come si può riformare? E' una domanda estremamente difficile, ma io mi ci butto, se non altro per darvi lo stimolo di rispondermi con colpi di mitraglia nel caso in cui le mie parole vi paiano “una cagata pazzesca” per fare una citazione cara a molti di noi. La mia risposta è: facendo tanti figli e dandogli un'educazione valida quanto quella che, a quanto pare, noi abbiamo ricevuto. Una tara culturale si elimina mettendola in minoranza. E personalmente nutro poca fiducia nei mezzi di indottrinamento associazionistico, anche perché è un campo nel quale la Chiesa cattolica continua a dominare. Il vero mezzo di riforma è il nucleo sociale di base, la famiglia. Per quanto il contesto sociale nel suo complesso possa rappresentare un forte elemento di influenza, è sicuramente la famiglia il fondamentale elemento di formazione. Certo è che, perché una riforma possa dirsi compiuta, è il contesto sociale a dover risultare cambiato. Ma la possibilità di cambiamento passa dalla coscienza delle famiglie. Quando si arriverà ad avere la coscienza di un professore, non più sradicata dalle menti degli alunni per una deriva di ottusità collettiva data dall'inabilità all'ascoltare e dagli schiamazzi ricreativi, ma acquisita e rinforzata dall'educazione familiare, allora ci sarà il vero cambiamento culturale. Allora sì, che la si smetterà di desiderare un'altra maggioranza, che non è politica in senso stretto, ma sociale. Questa è la mia idea di soluzione amici miei, ma ce ne sono anche altre, più rapide e sanguinose. Maximilién docet, e parlo di Robespierre, non di mio fratello...

Meo

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