mercoledì 3 marzo 2010

"Un paese ci vuole, non fosse che per il gusto di andarsene via"

"Un paese ci vuole, non fosse che per il gusto di andarsene via. Un paese vuol dire non essere soli, sapere che nella gente, nelle piante, nella terra c'è qualcosa di tuo, che anche quando non ci sei resta ad aspettarti".C. Pavese -La luna e i falò-

Vero,crescere in un paese significa tutto questo.
Crescere in un paese del centro italia, sul mare, con la giunta comunale incensurata per mafia, significa tutto questo..e anche un pò qualcos'altro.
Significa capire da subito che se tuo padre e tua madre non sono nati lì sei un pò diverso, anche se sei uguale; significa capire che ci sono maniere di pensare opposte a quelle che hai imparato dentro casa tua perchè fuori è un'altra cosa.
Fuori c'è il "PAESE", c'è la passeggiata alla domenica pomeriggio sullo "struscio del lungomare", c'è quella che "è una zoccola, ma lo sai che il padre vende macchine e c'ha un'altra", c'è un tipo di divertimento fatto di niente, perchè niente ti viene offerto e che se non ti diverti così sei sbagliato o strano, oppure tutti e due.
C'è che se hai visto come funziona fuori la vivi come una prigione, ma se non ne sei mai uscito pensi che quello sia il migliore dei mondi possibili, o almeno il solo mondo in cui abbia un senso esistere.
Crescere in un paese pensando al Mondo è un pò come una punizione che ti viene inflitta a piccole dosi quotidiane, quando ti scontri con la povertà intellettuale di tante persone e sogni di vivere nella Parigi dei caffè boheme.
Poi trovi dei compagni d'avventura, uguali a te nella diversità e ti diverti a vedere come un cappello eccentrico possa attirare gli sguardi di tutti gli "adolescenti normali" in nike e tuta adidas, come una curiosità intellettuale maggiore possa a volte farti male, perchè nel paese tutti hanno opinioni uguali e assai generiche su problematiche di ampio spettro ma ne hanno di fin troppo specifiche riguardo il consigliere comunale che concede appalti.
Crescere in un paese significa avere il tuo fruttivendolo che t'ha visto crescere, il tuo macellaio che t' ha visto crescere, la tua maestra dell'asilo che t'ha visto crescere, il tabacchino dove mamma ti mandava a comprare le sue sigarette, che pure lui, naturalmente, t'ha visto crescere....e nessuno che c'abbia mai capito un cazzo su chi fossi mentre gli anni passavano e il tuo corpo acquistava centimetri e cambiava di forma.
Tutti sono lì, come personaggi perfetti ed estatici di un presepe, tutti recitano una parte e si affannano per far sembrare le proprie vite perfette e quando falliscono nel loro intento sono esposti al pubblico ludibrio, perchè un'altra regola fondamentale del paese è che : tutto è di competenza di tutti e i fatti privati non esistono.
Diventare da bambine donne in un paese significa imparare ad affermare con più forza le proprie idee, perchè quelli che la pensano come te, o almeno con cui è bello ed interessante parlare sono pochi e comunque sono quelli "strani" e di conseguenza se non lotti da solo per affermare i valori in cui credi stai pur certo che saranno pochi quelli che ti vengono dietro...e quasi sicuramente alla fine sarà una lotta contro i mulini a vento, quindi "che ti ci arrabbi a fare?".

Ma ritornare al mio paese dopo due anni che vivo lontano, per natale e per pasqua, significa ritornare a sentirmi una persona e non più un numero quando cammino per la strada, significa camminare sulla spiaggia e calpestare la stessa sabbia con cui ho giocato da bambina.
Significa rincontrare gli amici di una vita, tutti là tra la piazza, il borgo ed il lungo mare...ognuno cambiato ma a suo modo sempre uguale: qualcuno è diventato padre, qualcun'altro ha preso qualche calcio in culo dalla vita e tanti fanno l'università, come me viaggiando tra Roma e il "Paese" tutti i giorni.
E pensi che la vita non era poi tanto male, sopratutto perchè ora non sembra affatto essere meglio, ora che fatichi tutti i giorni per ricordarti chi sei, quali erano le cose che ti facevano sentire viva, ora che cerchi con tutta te stessa di portare un pò del "tuo stramaledettissimo paese" nella giungla di cemento che divora l'uomo, che lo costringe a correre, correre, correre, senza mai fare caso alla faccia di chi gli cammina vicino, perchè sicuramente è QUALCUNO CHE NON CONOSCE.
Ed improvvisamente l'anonimato, qualcosa che hai cercato e desiderato per una vita, ti pesa e vorresti di nuovo essere quell'UNA di cui tutti conoscono la faccia, o almeno forse un pò la storia, con cui tutti hanno almeno un amico in comune...e ti accorgi di non essere felice.Oggi come ieri.
Perchè la felicità è un'arte, e come per tutte le arti occorre esservi portati.

-Elettra-



10 commenti:

  1. E' da un mostro di cemento che ti scrivo, che mi destreggio tra le corde di violino della tua scrittura cercando di essere meno coinvolta possibile. E' difficile. Difficile perchè calpestavamo la stessa sabbia e nemmeno lo sapevamo, e c'è voluto il mostro per farcelo dire. Che questo mostro sia il cemento, o la solitudine. Io non saprei.

    C'è che pure se vuoi passeggiare o andare a teatro per essere meno infelice poi scendi dal tram, fai quella viottola circondata da stanchi lampioni e ti saluti. E ci guardiamo negli occhi già sapendo che dietro la porta c'è la solitudine. Di chi voleva dire e non ha detto, di chi non ha detto abbastanza, o di chi non sapeva come fare.

    E quindi cerchiamo l'amore, l'amicizia, anche se non è di marca ci va bene lo stesso. Però I trasporti di milano sono i migliori. Peccato che a quel stramaledetto paese avevi la macchina e ti illudevi così d'esser libero perchè potevi andare ovunque. Potenzialmente. E poi qualche volta ti gira storto chiami l'amica di sempre e ci vai per davvero. Spero di poterlo fare, un giorno. Per sentirci meno morti e non lasciarsi così, come sempre.

    Abbiamo brindato ad un nuovo anno, e c'era roma su di noi, quasi a sfregio. Lasciamo stare la felicità, quella è roba per gente fortunata, come la fede. O forse per gente illusa.
    Che ci basti un sorriso, un attimo di contentezza, magari insieme, questo penso.

    RispondiElimina
  2. a costo di sembrare banale:

    "la felicità si racconta male, perchè non ha parole, ma si consuma e nessuno se ne accorge."

    quindi..

    RispondiElimina
  3. 'Romae Tibur amem, ventosus Tibure Romam'
    'sono come il vento, a roma mi piace tivoli, a tivoli mi piace roma.'
    Orazio

    la vera lotta è trovare un nuovo equilibrio ogni giorno, che si adatti ogni mattina al nuovo uomo che guardi allo specchio.

    non serve a molto desiderare un'alterità, un altrove.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. aooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooo ma che cavolo chai

      Elimina
  4. Ciao ragazzi, solo un'indicazione: firmatevi quando commentate, così ci conosciamo meglio

    RispondiElimina
  5. Ambra:
    La prima è marianna una mia compagna di corso,nonchè amica,nonchè concittadina
    la seconda è cristina la mia migliore amica
    e il terzo è nicola mio caro amico di università.
    svelata l'identita anonima
    ;-)

    RispondiElimina
  6. Grazie. Grazie per queste parole. Grazie perché non sono sola. Grazie, davvero perché la consapevolezza di essere di nessun posto solo nella comprensione degli altri, può diventare "essere di ciascun posto"...

    RispondiElimina
  7. sono capitata in questa pagina x caso ma ho letto il testo e ne sono rimasta affascinata. Ho visto ce l'ultimo post è un po' vecchiotto ma spero che con questo mio ho dato lo stimolo per scriverne altri... un testo davvero profondo ... grazie

    RispondiElimina
  8. Ciao ragazzi; arrivo molto molto tardi su questo scritto.
    Ho 32 anni, vivo in una valle del cuneese, in quelle montagne tanto belle quanto dimenticate, che noi siamo soliti definire come le montagne dove non nevica firmato.
    Ebbene, vi dico che dopo liceo classico e conoscenza della città di torino ho capito che qui è il mio mondo; che la ruralità, l'autenticità e anche i difetti di questo mondo sono il mio dna. Io mi sento a casa. Sem encà isì è il motto di una generazione, la mia che non vuole vivere la montagna del mondo dei vinti, ma vuole crescere con essa e farla crescere. Modernizzando la tradizione ma non dimenticandola: imparo l'inglese e parlo occitano. Faccio la guida escursionistica e interagisco appena possibile con i pastori, perchè il mio lavoro può mettere in vetrina il territorio. Faccio l'amministratore e sento il peso della responsabilità nei confronti delle generazioni dopo. senza distruggere la nostra autenticità dobbiamo diventare moderni. e dipende solo da noi.

    RispondiElimina