venerdì 22 ottobre 2010

Un paese ci vuole,ma una città è meglio...

Salve miei carissimi..
come al solito mi ritrovo ad essere parte,mio malgrado, solo virtuale dei vostri simposi di vino,politica,vita,progetti...ma quest'anno(o quanto meno questo semestre),siamo tutti un pò sparsi per l'Europa,pertanto soffrirò meno l'isolamento.
Già..l'isolamento...per la felicità dell'idealista ed ottimista per antonomasia,lo Scalchi nazionale,sono uscita dalla situazione che più d'ogni altra è stata ragione delle mie lamentele nelle nostre chicchierate.
I tempi di adattamento sono solo più estesi in una grande città(o forse il problema ero semplicemente io e la grande città non c'entrava nulla),ma non è detto che non ci si possa svegliare dal letargo,per quanto lungo questo sia stato,no?
Quindi eccomi,al mio terzo anno di vita milanese con tanti progetti in via di realizzazione:politici,di vita,di felicità.
Non è semplice,ma non lo è per nessuno di noi.
Credo che questo significhi veramente crescere:trasformare la realtà che ci sta intorno.O meglio,trasformare la nostra visione della realtà circostante,adattarla,plasmarla con piccole fatiche quotidiane.
Trovarsi e sentirsi a casa in un posto dove fino al giorno prima ci si sentiva stranieri,scoprire di essere legati a quei luoghi che ci hanno provocato tanta sofferenza,frustrazione,forse,ma che ci hanno consentito di guardare oltre,di imparare da noi stessi che non si può rimanere aggrappati ad un'idea che non ci appartiene più.
Ecco,la cosa più difficile per me è stato accettarmi nel mio cambiamento,accettare e non rigettare quella nuova maniera di vedere la vita che si andava insinuando dentro di me,che io vivevo come un tradimento della "vera me",ma che stava semplicemente significando "crescere".
Crescere,ed elaborare quanto di nuovo vissuto,le nuove facce,le nuove esperienze,tutti i calci in culo di cui la vita troppo spesso è prodiga e capire che non c'è coerenza più grande e profonda di quello che ci appare come un tradimento,perchè si può rimanere generali,ma si possono cambiare ed affinare le armi con la conoscenza.
E rimanere legati alla vecchia maniera di combattere non si chiama coerenza,ma stupidità.
Beh..perdonate il tono molto poco professionale e la scarsa profondità dei contenuti.
Ma la leggerezza nel dirvi che sono contenta di avervi inocontrato in questo tratto di strada è qualcosa che ci dovevo.
Perchè siamo dei generali di vent'anni..e
"a vent'anni s'è stupidi davvero,quante balle si ha in testa a quell'età"-
ps:ma adesso che io vado per i 22 e voi siete tutti abbondantemente 21enni...il titolo rimane una licenza poetica?o siamo di quella categoria che siccome è "giovane dentro" rimane sempre ventenne?(io opto per la seconda)
vi saluto e vi abbraccio,
tutti.
In qualsiasi angolo d'Europa voi siate spero vi giunga il mio sorriso arcuato.
Ambra..(solo per stavolta...dalla prossima tornerà la più professionale Elettra ;-) )

1 commento:

  1. E' vero Ambra, la conoscenza affina la capacità di controllare le paure, e tutte le situazioni che città come Milano o Bucarest producono ad ogni angolo, in ogni strada.
    A Bucarest mi capita ancora di sentirmi spaesato, impaurito sotto la mole di edifici enormi, costruiti per far paura, costruiti per imperare, con il solo scopo di ostentare le armi, quelle vere. Non credo che possa esserci nulla di più normale della paura, in città grandi come queste, soprattutto se le vivi da poco tempo.
    Dopo passa il tempo, neanche tanto a dir la verità, e ad un certo punto ti convinci che il momento di affrontare la realtà è arrivato, e la possibilità di scoprire altri mondi diventa la tua sete di conoscenza, della scoperta della vera faccia della città.
    Bucarest centro è una maschera costruita volutamente per nascondere i suoi rami, le sue periferie. Bucarest centro è una città "pulita". Bucarest centro, quando ci arrivi, fa molta paura. Perchè cosa c'è di più terribile di una maschera che fa paura? I palazzi grigi come il cielo, la mole del comunismo, che troneggia sul popolo, che sembra voler custodire con la forza quella cosa lì, quella libertà recentemente ottenuta.
    Ma la periferia...la periferia è un mondo che non avevo mai vissuto. Non era Europa quella sera, non è Europa questa sera in periferia. Non è mondo civile.
    Quindi Ambra, io ora veramente posso capire quello che dicevi sull'anno scorso, e quello che scrivi ora: "Trovarsi e sentirsi a casa in un posto dove fino al giorno prima ci si sentiva stranieri,scoprire di essere legati a quei luoghi che ci hanno provocato tanta sofferenza,frustrazione,forse,ma che ci hanno consentito di guardare oltre,di imparare da noi stessi che non si può rimanere aggrappati ad un'idea".
    E' tutto vero: e allora buttiamoci ancora nelle periferie, tuffiamoci anche nelle nostre città, perchè avremo l'opportunità di guardare oltre. Avremo l'opportunità di considerare l'Italia in maniera relativa, e non assoluta. E è bene per il mio Paese.

    Lollo

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