martedì 15 febbraio 2011

Un "noi" a geometria variabile

Premessa: visto che tutti conoscete bene la mia timidezza grafica e soprattutto tastiero-grafica, siate indulgenti nei vostri commenti...non sono aggressioni personali, se non a me stessa: vi voglio bene!

Rileggendo gli ultimi post di questo blog e le loro risposte mi è caduto l'occhio su una certa ripetizione, quasi rituale, catartica, del termine “noi”: chi siamo noi?o meglio, cos'è questo noi?
Credo che premessa fondamentale di ogni discorso, soprattutto se con ambizioni civiche, sia la definizione, prima di ogni altra cosa, dell'identità di partenza, che può, o forse deve, cambiare nel tempo, ma deve comunque essere sottoposta ad un continuo processo di re individuazione e ridefinizione. Un noi che cambia la sua identità e quindi le sue caratteristiche senza definirsi ad ogni discorso non permette alcun tipo di analisi in quanto non permette l'identificazione di un “loro” antagonista. Meglio, un noi i cui confini e i cui caratteri sono variabili comporta la creazione ad hoc di un “loro” che risponda agli specifici bisogni di questo noi occasionale: è un “loro” che di volta in volta si appropria degli aspetti negativi del “noi”, giustificandolo e facendolo apparire puro e semplice, nel senso di privo di contraddizioni e quindi di complessità. Il “loro” sarà quindi sempre il nemico da combattere, colpevole di tutti i mali. Credo che questa vaghezza concettuale non permetta alcuna forma di discorso performativo, nel senso di creatore di realtà, sia essa relazionale, politica o concretamente attiva. E' terribilmente arrogante pensare che ciò che l'India offre sia l'incontro con un'altra cultura: l'unica cosa, enorme e travolgente, che il subcontinente indiano mi ha violentemente offerto è stata la presa di coscienza che tutto il mio mondo, il mio sistema di pensiero, è riconducibile solo ed esclusivamente a pochi, piccoli, valori di fondo. Sono questi valori a definire, attraverso il linguaggio, la nostra realtà: la mia richiesta a questo blog è quindi quella di prendere in considerazione una definizione dei nostri valori, tra cui l'identità stessa di questo “noi”, per evitare che tutti i problemi siano di volta in volta spostati verso un “loro” indifferenziato e quindi invincibile...Per farlo, è assolutamente necessario discutere i valori che ci muovono, senza averne paura, per sfatarli di ogni retorica e, soprattutto, per eliminarne ogni pretesa universalistica: esiste veramente una legge giusta, Lollo? Gli egiziani in base a cosa hanno diritto ad essere rappresentati da un governo democratico, Pier? Cos'è l'indignazione, Franci? Io condivido tutte queste vostre idee, ma emotivamente: e se le idee si limitano a suscitare emozioni, senza creare realtà definitorie non producono nulla, cadono nel vuoto.
Credo che noi, partiamo da un “noi” limitato, noi amichetti di Gorizia, noi dovremmo essere più responsabili verso noi stessi e verso le parole che utilizziamo: definiamoci in modo forte in base ai nostri valori e diamo quindi un significato univoco e forte, ma non per questo statico, alle nostre parole che saranno allora veramente creatrici di significati e realtà.
Se ciò non accadrà temo che ci troveremo come gli antichi greci a ripeterci sbalorditi:
“Perché è già notte e i barbari non vengono
è arrivato qualcuno dai confini
a dire che di barbari non ce ne sono più
Come faremo adesso senza i barbari?
Dopotutto, quella gente era una soluzione”
C. Kavafis

Lucia
PS. Lollo, a capo di che ministero mi metti?

2 commenti:

  1. Sai che riflettevo esattamente su quel noi proprio oggi pomeriggio mentre osservavo il fiorire dei commenti e sfogliavo delle vecchie foto...Sì Luci, il "noi" è il noi amichetti di Gorizia, è il noi di ragazzi giovani sognatori e pieni di speranza e di voglia di lottare.
    E' lo stesso noi dietro al quale mi nascondo quando mi accorgo d'essere impotente..forse finendo per rendere impotente il "noi" stesso....

    Allora, da dove cominciare a definirlo, questo "noi"? Con quali criteri?
    E tale segnalazione del campo su cui giochiamo, renderebbe più chiare le risposte? più acute le domande? O servirebbe forse solo a relativizzare il punto di vista?
    Renderlo definito non significherebbe renderlo statico? E renderlo statico non lo limiterebbe?
    E come definire un flusso che si modifica? e che per fortuna, cambia in modo così repentino e frequente e forte grazie proprio alla nostra esposizione alla realtà, alla nostra sensibilità verso il confronto?
    Renderlo statico non significherebbe cercargli dei confini? Avere dei confini non è come avere delle lenti? Avere degli schemi non ci farebbe vedere solo fino alla siepe?
    Io cerco l'infinito che c'è oltre, non sempre, è ovvio, è proprio da questo infinito/indefinito che viene l'impotenza...però, a volte, "naufragar m'è dolce in questo mare" ...

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  2. Vi consiglio di guardare il principio di indessicalità di Garfinkel.

    http://www.pug.units.it/sid/docenti/belohradsky/didattica/dispensa%20di%20sociologia%202009-2010%20_definitivo_.pdf (pag.7)

    Sergio

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