martedì 1 dicembre 2009

Generali di Vent'anni

Perché abbiamo creato questo blog? Perché questo nome? Che cosa mi ha spinto a contribuire alla sua realizzazione?
La risposta è difficile, molte volte anzi mi verrebbe da dire “non so in realtà perché”. Capita spesso che le parole non arrivino a formulare una motivazione razionale, e capita spesso che tutto si semplifichi in un “ne avevo voglia”. No, non è solamente questo. A mio parere è l’arte della scrittura lo spartiacque che mi permette di oltrepassare l’argine della semplice motivazione. Quest’ arte che può arrivare laddove quella del discorso non arriva, per ovvie ragioni infatti. La scrittura implica riflessione, correttezza, metodo e chiarezza; il discorso, che fra amici molto spesso è improvvisato, non arriva ad avere tutte queste caratteristiche. Sediamoci dietro un tavolo e pensiamo e poi scriviamo e poi rispondiamo e poi cambiamo idea e poi…Tutto quello che è scritto resta: questo è fondamentale. Tutte le nostre acrobazie retoriche resteranno e tutte le nostre idee saranno a disposizione di tutti, non solamente per il ristretto gruppo di amici.
Ma non badiamo a numeri, a gruppetti o a grupponi. Non mi interesserà quante persone leggeranno tutto questo. Voglio infatti che in questo contenitore ci sia la più assoluta libertà. Chi vuole, può: senza dove, né quando né perchè. Può. Siamo in tre, in quattro, in venti, in cento…è sempre più grande di uno.
È la scrittura che conta, è il canale-blog che ci permette di ordinare i pensieri.
Gli antichi re che inventarono la scrittura fecero esattamente così. Regolarizzarono i flussi di parole per mettere ordine e per governare. E noi, generali di vent’anni, di che cosa abbiamo bisogno se non di possedere gelosamente convinzioni solide e di voler prenderci quello che da tempo le generazioni più vecchie ci negano: il nostro futuro?
L’apertura del blog (1 dicembre 2009) cade proprio nel giorno in cui si discute sul futuro dei ventenni nel nostro Paese. Ieri su La Repubblica è stata pubblicata una lettera di dolore di un padre che si rivolge al figlio universitario con toni amari, quasi di disperazione, invitandolo a esiliare all’estero perché l’Italia non è più asilo per nessuno. Per nessuno con un futuro davanti.
La lettera, che qui sotto vi metto a disposizione, e che ho letto con molte difficoltà emotive, ha suscitato in me il desiderio di guardarmi le mani per vedere quanto ruvide fossero, di mettermi una camicia-divisa addosso e guardarmi allo specchio per vedere quanto serio fossi, di prendere in mano un’arma tanto potente quanto rara nell’uso che ne facciamo che si chiama scrittura, e di investirmi, e di investire chi sarà con me, del titolo di Generale di Vent’anni proprio per perforare la realtà del quotidiano, commentare fatti e commentare assieme.
Chi non usa la scrittura per perforare la realtà perde l’opportunità di usare un’arma da generali, e quindi un’arma pericolosa, tagliente ma…preziosa e bella, inestimabile.
Si apran ora i giochi nell’arena.

Buona fortuna

Lollo


"Figlio mio, lascia questo Paese"
di PIER LUIGI CELLI


Figlio mio, stai per finire la tua Università; sei stato bravo. Non ho rimproveri da farti. Finisci in tempo e bene: molto più di quello che tua madre e io ci aspettassimo. È per questo che ti parlo con amarezza, pensando a quello che ora ti aspetta. Questo Paese, il tuo Paese, non è più un posto in cui sia possibile stare con orgoglio.

Puoi solo immaginare la sofferenza con cui ti dico queste cose e la preoccupazione per un futuro che finirà con lo spezzare le dolci consuetudini del nostro vivere uniti, come è avvenuto per tutti questi lunghi anni. Ma non posso, onestamente, nascondere quello che ho lungamente meditato. Ti conosco abbastanza per sapere quanto sia forte il tuo senso di giustizia, la voglia di arrivare ai risultati, il sentimento degli amici da tenere insieme, buoni e meno buoni che siano. E, ancora, l'idea che lo studio duro sia la sola strada per renderti credibile e affidabile nel lavoro che incontrerai.
Ecco, guardati attorno. Quello che puoi vedere è che tutto questo ha sempre meno valore in una Società divisa, rissosa, fortemente individualista, pronta a svendere i minimi valori di solidarietà e di onestà, in cambio di un riconoscimento degli interessi personali, di prebende discutibili; di carriere feroci fatte su meriti inesistenti. A meno che non sia un merito l'affiliazione, politica, di clan, familistica: poco fa la differenza.

Questo è un Paese in cui, se ti va bene, comincerai guadagnando un decimo di un portaborse qualunque; un centesimo di una velina o di un tronista; forse poco più di un millesimo di un grande manager che ha all'attivo disavventure e fallimenti che non pagherà mai. E' anche un Paese in cui, per viaggiare, devi augurarti che l'Alitalia non si metta in testa di fare l'azienda seria chiedendo ai suoi dipendenti il rispetto dell'orario, perché allora ti potrebbe capitare di vederti annullare ogni volo per giorni interi, passando il tuo tempo in attesa di una informazione (o di una scusa) che non arriverà. E d'altra parte, come potrebbe essere diversamente, se questo è l'unico Paese in cui una compagnia aerea di Stato, tecnicamente fallita per non aver saputo stare sul mercato, è stata privatizzata regalandole il Monopolio, e così costringendo i suoi vertici alla paralisi di fronte a dipendenti che non crederanno mai più di essere a rischio.

Credimi, se ti guardi intorno e se giri un po', non troverai molte ragioni per rincuorarti. Incapperai nei destini gloriosi di chi, avendo fatto magari il taxista, si vede premiato - per ragioni intuibili - con un Consiglio di Amministrazione, o non sapendo nulla di elettricità, gas ed energie varie, accede imperterrito al vertice di una Multiutility. Non varrà nulla avere la fedina immacolata, se ci sono ragioni sufficienti che lavorano su altri terreni, in grado di spingerti a incarichi delicati, magari critici per i destini industriali del Paese. Questo è un Paese in cui nessuno sembra destinato a pagare per gli errori fatti; figurarsi se si vorrà tirare indietro pensando che non gli tocchi un posto superiore, una volta officiato, per raccomandazione, a qualsiasi incarico. Potrei continuare all'infinito, annoiandoti e deprimendomi.

Per questo, col cuore che soffre più che mai, il mio consiglio è che tu, finiti i tuoi studi, prenda la strada dell'estero. Scegli di andare dove ha ancora un valore la lealtà, il rispetto, il riconoscimento del merito e dei risultati. Probabilmente non sarà tutto oro, questo no. Capiterà anche che, spesso, ti prenderà la nostalgia del tuo Paese e, mi auguro, anche dei tuoi vecchi. E tu cercherai di venirci a patti, per fare quello per cui ti sei preparato per anni.

Dammi retta, questo è un Paese che non ti merita. Avremmo voluto che fosse diverso e abbiamo fallito. Anche noi. Tu hai diritto di vivere diversamente, senza chiederti, ad esempio, se quello che dici o scrivi può disturbare qualcuno di questi mediocri che contano, col rischio di essere messo nel mirino, magari subdolamente, e trovarti emarginato senza capire perché.

Adesso che ti ho detto quanto avrei voluto evitare con tutte le mie forze, io lo so, lo prevedo, quello che vorresti rispondermi. Ti conosco e ti voglio bene anche per questo. Mi dirai che è tutto vero, che le cose stanno proprio così, che anche a te fanno schifo, ma che tu, proprio per questo, non gliela darai vinta. Tutto qui. E non so, credimi, se preoccuparmi di più per questa tua ostinazione, o rallegrarmi per aver trovato il modo di non deludermi, assecondando le mie amarezze.

Preparati comunque a soffrire.

Con affetto,
tuo padre

L'autore è stato direttore generale della Rai. Attualmente è direttore generale della Libera Università internazionale degli studi sociali

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